venerdì 7 marzo 2014

#12.tempo

"Non che ci sia tutto questo tempo, no. L'urgenza di scrivere sovrasta il tempo che ho per riflettere. C'è stato un tempo in cui non ho potuto far altro, e le parole nei diari perduti erano di gravi silenzi e sibillini fragori. Non tutte le città sono state Sarajevo, come jugoslavo mi sono sentito tradito, occupante e occupato, nei luoghi in cui sono cresciuto. Il posto dove mi trovo adesso è quasi irreale, sembra tutto sospeso: scorre la vita, dovrebbe essere normale eppure non c'è la verità della storia, né la vitalità delle scelte. Vero, è solo un'approdo e non è detto che io mi fermi qui per sempre. L'ho scelto, o mi è stato imposto (ancora non mi è chiaro), per cercare una serenità mentale: lavorare, avere relazioni sociali, abitare, concedermi svaghi, passeggiare, leggere senza l'assillo di non conoscere cosa ne sarà di me, domani. Domani morirò, questo mi è chiaro. Sono sopravvissuto alla mia identità territoriale, non me ne faccio un vanto ma nemmeno è un cruccio: penso al momento in cui Defoe pensò di far incontrare Robinson e Friday, l'altro da sé, la propria immagine riflessa in un altro mondo (non era il primo alter ego per Defoe, sarebbe stato l'ultimo). Mi sento così, convivo con una immagine di me che penso esista e invece è solo un'alterazione letteraria: mi invento per dirmi che sto qui. Stevenson docet. Potrei fargli compiere nefandezze, non è detto che verrebbe a dirmele."

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