mercoledì 5 marzo 2014

#10.inizio

"Inizio daccapo. Mi hanno requisito i diari personali, non so perché. La prima pagina di questo ennesimo diario soffre la mancanza di pagine scritte giorno per giorno, quattro anni dedicati a raccontare la follia etnica e la mia, la nostra, incredulità. Più quei taccuini mi chiamavano, più il mio corpo si allontanava mentre l'anima era lì ad abbracciarli. Ora sono in viaggio, quasi apolide. Ho scelto l'esilio volontario come estrema resistenza alla disfatta, politicamente non esisto più (proverò a raccontarlo, ancora, a me stesso e a chi avrà misericordia di questo ulteriore diario, anche se niente potrà essere riscritto, non come prima) ma sono ancora un uomo, scrivo, esisto. La hall di questo aeroporto è grande almeno mille volte le case che ho condiviso coi miei amici a Belgrado, a Split, a Sarajevo, anche qui le parole fluiscono, dondolano, si muovono, non come le nostre che ci siamo interrogati sul presente e il futuro, su Tudjman e Milosevic, sulla politica e l'informazione, sull'equilibrio tra verità e menzogna. Le nostre parole, ce le siamo scagliate addosso come frecce avvelenate: io, persino, contro Alija, siamo cresciuti assieme, non dimenticherò mai il nostro addio. Sono un granello di sabbia portato dal vento, e la mia storia quasi non mi appartiene. Ma ho figli, lontani, e devo scrivere per dimostrare, almeno, che ho calpestato il suolo del loro stesso pianeta, mi sono bagnato nei loro mari e ho respirato l'aria delle loro città. I miei libri non saranno i loro e la mia passione per il cinema non incontrerà i loro gusti. Ma sono paziente. Solo dentro questo inutile frastuono di merci e passeggeri comprendo l'irrilevanza della tragedia: la guerra fratricida della mia terra si diluisce in litri d'inchiostro rosso sangue ma qui annerisce fino alla sua scomparsa; gli europei non capiscono quello che trasmettono i loro giornali televisivi perché tra le tiepide situazioni politiche interne alla nazione e la nascita del figlio di una cantante hanno inserito, col viso commiserato dell'anchorman, un Mladic sorridente accanto ad un generale dell'Unprofor. L'anchorman, mentre le mie parole diventano lettere, sorride compiaciuto e da dietro la videocamera qualcuno gli suggerisce che ha ancora trenta secondi; lui, affabilmente, ne concede venti alle previsioni del tempo. In venti secondi un cecchino poteva far fuori cinque persone, non sentivi lo sparo anche se sotto il sole le città erano avvolte da una cappa di silenzio, la ragazza delle previsioni dice che la cappa si diraderà e tornerà il sereno. Non ha le informazioni giuste. A quanti secondi siamo? Tre, due, uno: sigla."
(tratto da Gildo Priblic, Diario del non ritorno)

Nessun commento:

Posta un commento