domenica 9 marzo 2014

#14.fiato

"La morte di Tito è corrisposta ad una esplosione dei nazionalismi, e dei peggiori. Io sono nato jugoslavo, dopotutto, Tito presidente l'ho appreso dai primi anni di vita, sono anche stato una delle staffette del 25 maggio. Un'esperienza non dimenticata, era solo un frammento di corsa in fondo ma ci si sentiva intimamente legati, e pezzi di una storia. Bah. Non ho avuto mai la sensazione che il culto della personalità pesasse veramente sulla mia vita, ero un ragazzo. Però dopo il 5 aprile del 92, quando Suada venne uccisa a 24 anni sul ponte Vrbanj, avemmo la netta sensazione che tutto si sarebbe definitivamente sbriciolato da lì a poco, e nella maniera peggiore. Il mio praticantato di psicologia a Sarajevo era iniziato l'anno prima, mi trovavo là per quello. Però c'ero già stato nell'84, con mia madre, per assistere allo slalom gigante delle Olimpiadi in cui Franko vinse l'argento, l'unica medaglia jugoslava in patria. Il compagno Broz era morto, ma la nazione ancora reggeva. In occasione del 25 maggio del 92 decidemmo tutti assieme di non morire per quella guerra che non ci riguardava, anche se eravamo in un certo modo prigionieri della nostra nazionalità. L'idea ce la diede l'immagine televisiva della premiazione olimpica, il fiato che usciva copioso dalla bocca del nostro sciatore: finché un alito di vita ti rimane ci sei, bisognava raccogliere quel fiato. Così riempimmo le nostre case di palloncini colorati col nostro fiato, e sul palloncino il nostro nome. Soffiare, bisognava soffiare e ricordare di rimanere vivi. Ogni anno un palloncino diverso, finché le case non ne potevano più: case piene di vita perché colorate, e al tempo stesso dense di presenze/assenze in ogni angolo. Era una maniera di credere di potercela fare."

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